Una parte considerevole del patrimonio librario cassinese è vergata in una scrittura caratteristica dell’Italia meridionale: la beneventana.
Attestata dagli ultimi decenni dell’VIII secolo, la sua formazione a partire dalla corsiva nuova romana giunse a compimento nella regione del Mezzogiorno di dominazione longobarda: la cosiddetta Langobardia minor. Qui, infatti, si sviluppò una cultura scritta separata e diversa rispetto a quella carolingia, espressione della forte coscienza etnica longobarda e coincidente con la cultura benedettino-cassinese, di cui il monastero di Montecassino, appunto, costituì uno dei centri più prestigiosi.
1.1 Area della diffusione
La beneventana non fu impiegata solo nella Langobardia minor in senso stretto, ma in tutta l’area di cultura longobarda dell’Italia centro-meridionale, che aveva come confine superiore una linea ideale tracciata dalla costa tirrenica a quella adriatica, da Roma ad Ascoli Piceno; comprendeva la stessa costa tirrenica, ad esclusione dei ducati costieri, e i principati longobardi fino ai limiti meridionali raggiunti dal loro dominio; infine, si estendeva ad Oriente, oltre le rive dell’Adriatico, fino alle isole tremiti e al litorale dalmata, dove la beneventana giunse grazie a stretti rapporti commerciali con le città pugliesi e alla dipendenza di alcuni importanti monasteri dalmati (ad esempio S. Crisogono a Zara) da abbazie italo-meridionali.
1.2 Morfologia della scrittura
Fu probabilmente l’esigenza di una scrittura più agile e meno impegnativa rispetto ad onciale e semionciale a determinare una calligrafizzazione della corsiva nuova romana, con conseguente sviluppo della minuscola beneventana, i cui tratti peculiari sono stati individuati da Elias Avery Lowe nel suo monumentale lavoro del 1914, The Beneventan Script:
- a simile a due c accostate tendenti a toccarsi in alto;
- t con ansa a sinistra del tratto verticale ampia fin quasi a toccare il rigo di scrittura;
- legatura obbligatoria della i quando segue le lettere e, f, g, l, r, t;
- uso della I alta invece della normale i bassa quando la lettera è iniziale di parola (In, Impar, Itinera), a meno che non sia seguita da lettere che si estendono al di sotto o al di sopra del rigo di scrittura (ibi, ille, ipse), e quando ha funzione semivocalica
(Iam, eIus, IeIuniis); differenziazione nella forma della legatura ti a seconda che il gruppo esprima suono duro (tibi) o dolce (pretium).
1.3 Origine
Nel succitato lavoro del 1914, Lowe identificava indissolubilmente le fasi della storia della beneventana con le vicende del monastero di Montecassino, arrivando così a collocare il raggiungimento del canone entro le mura del cenobio al tempo dell’abate Desiderio (1058- 1087). In realtà, come ha osservato Guglielmo Cavallo nel 1970 (Struttura e articolazione della minuscola beneventana libraria tra i secoli X-XII), poiché la canonizzazione di una scrittura è un fenomeno unitario, necessita di una unità culturale e politica che favorisca tale processo: nel caso della beneventana, la prima fu assicurata dalle numerose fondazioni benedettine promotrici della cultura longobardo-cassinese, la seconda fu raggiunta dopo la metà del X secolo con Pandolfo “Capodiferro” (943-981), che riunificò tutta la Langobardia minor estendendo il suo dominio nel ducato di Spoleto e nella marca di Camerino. La canonizzazione della beneventana si sarebbe dunque verificata attorno al terzo venticinquennio del X secolo, non tanto a Montecassino – che, distrutta dai Saraceni nell’883 e ricostruita solo nel 950, si stava ancora faticosamente riorganizzando –, quanto piuttosto nella Benevento del vescovo Landolfo I, elevata ad arcivescovato nel 969.
1.4 Tipo barese e tipo cassinese
Con il secolo XI, la scrittura beneventana si diversificò, grosso modo secondo aree geografiche, nelle tipizzazioni barese e cassinese.
La prima si definì a Bari all’inizio del secolo, forse anche su influsso di modelli bizantini che circolavano all’epoca in territorio pugliese, quali la Perlschrift o la tarda maiuscola (come suggerisce Cavallo nel succitato contributo del 1970). I suoi tratti peculiari sono: trattegio sottile, fluente e uniforme; tendenza al bilinearismo con forte riduzione delle aste ascendenti e discendenti; ingrandimento dei nuclei delle lettere; disegno rotondeggiante. La sua area di diffusione si estese oltre la Terra di Bari, spingendosi dalle coste pugliesi fino in Dalmazia.
La tipizzazione cassinese, invece, si sviluppò entro le mura del cenobio benedettino di Montecassino, raggiungendo la perfezione sotto gli abati Desiderio (1058-1087) e Oderisio (1087-1105). In questa fase (a cui Francis Newton ha dedicato nel 1999 una monumentale monografia, The scriptorium and library at Monte Cassino 1058-1105), l’uso di una penna con punta morbida e tagliata obliquamente produsse due effetti peculiari sulla scrittura impiegata
dagli scribi cassinesi: il primo è la spezzatura dei tratti verticali brevi delle lettere che si costituiscono sul modello della i (quindi m, n, u e il secondo di h) e si manifesta con un tracciato a losanghe sovrapposte; il secondo è il perfetto allineamento dei tratti orizzontali di alcune lettere (e, f, g, r, t), con la conseguenza che le parole appaiono appese lungo una corda. Come per il tipo barese, anche l’area di diffusione della beneventana cassinese si estese ben oltre il monastero benedettino, arrivando a coinvolgere quasi tutta l’Italia meridionale longobarda.
1.5 Decadenza della minuscola beneventana
A partire dal secolo XII, l’avvento definitivo dei Normanni in Italia meridionale, la gravitazione politica di Montecassino verso questi ultimi e Roma, la fondazione di nuovi monasteri cistercensi e l’introduzione di modelli grafici e testuali da altre regioni – tutti vettori della nuova cultura carolingia – posero fine alla tradizione longobarda e, con essa, alla scrittura che di quella cultura era stata espressione e mezzo di trasmissione. Da quel momento la beneventana cominciò a manifestare sempre di più l’introduzione di elementi estranei al tessuto grafico tradizionale, fino ad essere sostituita del tutto dalla tarda carolina e dalla gotica incipiente. Tuttavia, in alcuni centri in cui era profondamente radicata, prima di tutto Montecassino, continuò ad essere impiegata ancora a lungo, seppure in forme artificiose: quando, ad esempio, nell’ultimo quarto del XIII secolo fu allestito nel monastero benedettino il Montecassino, Archivio dell’Abbazia, 440, contenente il commento alla Regola dell’abate Bernardo Aiglerio, mentre la decorazione ormai non mostrava più alcun contatto con la tradizione locale, il testo fu vergato in una beneventana che, sebbene tarda, dal tratteggio angoloso e contaminata da elementi protogotici, tuttavia tentava ancora di rispettare i canoni classici.